Il nuovo protagonista della nostra rubrica #IndustryInsiders, che raccoglie interviste ai professionisti di Moda, Lusso e Cosmetica per conoscere la loro storia e la loro opinione sulle evoluzioni del settore, è Stefano Guerrini.
Personalità eclettica e vulcanica, inizia a scrivere nel 1998 su diverse riviste di moda, tra le quali il mensile Donna, L'Uomo Vogue, MF Fashion, Activa, Hot e anche sul sito web della rivista GQ Italia, dove nasce il suo blog, lepilloledistefano, uno dei primi in Italia a parlare di moda al maschile. Stefano Guerrini è stato fashion director della rivista trimestrale bilingue Label, della rivista Made05, divenuta poi MadeWithStyle, e ha lavorato come stylist freelance, tra gli altri, per Fucking Young, The Fashionisto, Male Model Scene e Vogue.it, oltre a fornire la sua consulenza ad aziende per la realizzazione di progetti speciali, lookbook e campagne adv. Oggi è fashion editor at large di manintown.com, porta avanti i suoi progetti da freelance e insegna allo IED - Istituto Europeo di Design - di Milano, Cagliari e Firenze. Nel 2010 ha fondato la propria webzine webelieveinstyle.it ch
L'Intervista a Stefano Guerrini, fashion editor, stylist, docente e pioniere dei blog di moda.
Sei stato uno dei primi blogger di moda in Italia. Com'è nata questa intuizione?
Spesso le mie intuizioni e idee nascono dalla noia e dall'insoddisfazione. Ho raccontato spesso questo episodio, molti hanno pensato che ci fosse qualcosa di più studiato dietro, ma è esattamente quello che è successo. Ero al telefono con una delle mie più care amiche, che si occupa da anni di pubbliche relazioni nella moda, e mi stavo lamentando di come non trovassi soddisfazione nelle mie collaborazioni di quel momento. Iniziammo a parlare di questo nuovo fenomeno del blogging e ci siamo detti: "Ma sarà complicato aprire un blog?". Entrai in un sito e lo creai stando con lei al telefono e dando al blog il nome di una mia newsletter, che spedivo ad amici e conoscenti, che aveva raggiunto un buon following: lepilloledistefano. Poi, come spesso accade, una cosa tira l'altra e, durante un colloquio di lavoro, mi fu espresso interesse per il blog che diventò uno di quelli in evidenza sul sito Menstyle.it, che poi divenne il sito di GQ Italia. L'incontro successivo con Andrea Ferrato, che si occupa da oltre venti anni di progetti nel campo della comunicazione, è stato importante per dare una struttura più professionale e corposa alla mia presenza online, con la nascita della webzine webelieveinstyle prima e poi del sito stefanoguerrini.vision.
Hai da poco lanciato la nuova versione di quello che era il tuo blog e che oggi si è trasformato in un sito vero e proprio. Cosa è cambiato nel frattempo?
Non ho perso la spontaneità e l'immediatezza, la voglia di parlare di quello che mi piace. Detesto l'idea di affrontare il mio lavoro in negativo, così come non mi appartiene la filosofia dell'hater, che purtroppo è molto diffusa sul web. Sicuramente sono cresciuto, forse sono più smaliziato, diciamo che conosco meglio le regole che si nascondono dietro a progetti, strategie di certe operazioni. Non è venuta meno la voglia di aiutare le giovani leve, di stare dalla parte dei giovani, ma anche di quei nomi storici capaci di rinnovarsi. Mi piace affrontare il tema del ricambio generazionale. Lo affronto però senza snobismi, non lo vedo mai come vecchio contro il nuovo, ma sempre a favore di una coesistenza proficua per il sistema moda. Sicuramente ho imparato a vedere la moda come parte di un grande quadro, come quel linguaggio capace di racchiudere tanti linguaggi, quindi mai scissa da quello che accade in altri ambiti creativi, anche sociali e politici, ma vedo il tutto in maniera forse un filo meno idilliaca e più realistica, anche laddove si nascondano atteggiamenti più legati al commercio e al guadagno.
Poi se per "cosa è cambiato" vogliamo intendere che cosa è cambiato nel sistema in questi anni, potremmo dire tutto e nulla. Secondo qualcuno, se ci mettessimo a vedere come è vestita la gente ogni giorno in metropolitana probabilmente non noteremmo dei grandi cambiamenti rispetto a qualche decennio fa. Quindi, le tante apparenti rivoluzioni che succedono nella moda - l'arrivo di Alessandro Michele da Gucci, tutto il discorso del genderless e via dicendo - sono solo micro-rivoluzioni, che rispecchiano forse solo fluttuazioni fisiologiche del gusto e non cambiamenti veri e propri. Anzi, siamo forse in un'epoca di Medioevo creativo, per cui ho paura, anche se spero il contrario, che questo porterà a passi indietro in tanti settori. Pensa a tutti i discorsi sulla censura sui social quanto stiano danneggiando la creatività e non creando una vera controcultura.
In che modo, secondo Stefano Guerrini, il digitale continuerà a cambiare il mondo della moda?
Non ho bisogno di ripetere che il web con il suo approccio democratico ha aperto molte porte e questo ha dato più possibilità, togliendo una certa aura sacrale al fashion system, ma ha tolto anche un po' la fascinazione che c'era dietro a questo mondo. Siamo passati da "You can't sit with us" alla possibilità, anche attraverso un Instagram, di avere una voce ascoltata e con un grosso seguito. Guardando l'aspetto positivo, il web prima e i social poi, hanno scardinato le logiche legate all'adv in senso classico creando nuove forme di diffusione e promozione. Ci sono marchi che hanno avuto, e per fortuna, un successo enorme grazie ai social. Come ogni cosa, ho l'impressione che stiamo andando incontro ad una saturazione, e solo chi è molto forte continuerà ad essere rilevante. Spero che fra questi ci saranno personaggi e nomi che hanno contenuti, cultura, know how e non solo immagine. Il digitale deve essere un mezzo per raccontare qualcosa e non un fine, dovrebbe spingerci a saperne di più, incuriosirci.
Troppo spesso si ferma al mero desiderio, non spingendosi alle diramazioni di quel desiderio, alla sua capacità di rimandare ad un mondo, a delle possibilità. È certo che oggi un progetto creativo e/o di comunicazione non può non considerare il digital, anzi sempre più spesso parte da lì. Penso che le potenzialità siano ancora molte. Penso a quello che sta facendo Tisci da Burberry, capsule che si vendono prima attraverso Instagram, immagini pensate per essere veicolate solo da certi canali, ma al tempo stesso una collaborazione con un personaggio di spessore come Vivienne Westwood, mondi che si mescolano e dialogano. Chapeau!
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Promuovendo il tuo lavoro sui social, oggi vanti quasi 13K follower su Instagram. Cosa ne pensi del fenomeno degli influencer?
All'inizio ne pensavo tutto il bene possibile. Io sono sempre a favore dell'apertura, dell'inclusione e del nuovo, per cui mi sembrava un mondo interessante con delle potenzialità. Ho l'impressione che siamo ad un punto di svolta. L'idea sta mostrando di essere un po' stanca. Dopo aver visto viaggi nei resort più cool, aver visto alcuni personaggi cambiar d'abito trenta volte al dì, non dimostrando così un vero interesse e, a mio avviso, non suscitando una precisa fidelizzazione verso un marchio, dove si va? Ci sono alcuni che hanno idee, che mi stupiscono, che diversificano il proprio mondo. Ad esempio, penso a Paolo Stella che trovo molto bravo in questo, oltre che spiritoso e intelligente. Non è l'unico, ma alcuni a forza di taggare marchi e ripetere un cliché stanno esaurendo il filone.
Sei anche uno stylist e hai lavorato come fashion editor di alcuni magazine indipendenti. Quale sarà il futuro dell’editoria?
È chiaro che i giornali non sono morti con l'avvento del web, ma è anche chiaro che non si fanno più i numeri di una volta. Per un po' ho pensato che il futuro della stampa sarebbe stato sempre di più verso un progetto quasi da collezione, numeri speciali, collaborazioni trasversali con altri mondi creativi e così via. Una certa stampa che io amo - penso a certe riviste straniere, il lavoro di Katie Grand in questi anni ad esempio - va sempre in quella direzione, mentre non è scomparsa la stampa più commerciale e mainstream, figlia ancora della pubblicità e dei contratti con certi marchi. Mi sembra un sistema tanto ancorato ad un mondo vecchio, che c'è ancora, ma poco dinamico, che guarda al passato. Penso ad un futuro in cui prevale una stretta collaborazione fra stampa e web, dove uno arriva ad approfondire laddove un'altro stimola più velocemente.
Infine, dato che tra le tante attività sei anche un docente in diversi istituti di moda, cosa consiglieresti ai ragazzi che vogliono intraprendere una carriera in questo settore?
Innanzitutto, sarà che le mie lezioni sono frontali e io parlo tanto e sommergo gli studenti di informazioni, nomi, riferimenti, rimandi, chiarisco subito che lavorare nella moda è un lavoro che ti segue 24 ore al giorno, che devi sempre avere le antenne ben dritte, cogliere in che direzione va il gusto, essere a conoscenza non solo di trend, ma anche dei film che ci sono, delle mostre da vedere, delle icone di riferimento, delle serie tv di culto e così via. Diana Vreeland sosteneva che "The eye has to travel", per me può viaggiare anche solo sulle ali della fantasia, ma questa va nutrita bene. Per cui per me devono studiare, studiare, studiare. Chiaramente questo è un mestiere fatto di rapporti, quindi bisogna saperli coltivare, nessuno vive in un eremo dove lo vanno a cercare. Bisogna farsi conoscere, con umiltà però. Non è perché ti imbuchi ad una sfilata che sei parte del fashion system e non è che un paio di occhiali da sole indossati in un front row fanno di te la nuova Anna Wintour.
Bisogna essere preparati e umili. Poi io penso di passare una cosa fondamentale, che è la passione. Sai, io ho fatto studi lontani dalla moda, la moda è stata la mia amante per molto tempo. E anche oggi che faccio parte, a modo mio, di questo mondo, la passione non è mai venuta meno.
Ecco cosa ci ha raccontato Stefano Guerrini, fashion editor, stylist e blogger, nuovo protagonista della nostra serie #IndustryInsiders. Cosa ne pensi? Condividi con noi le tue opinioni nei commenti in basso.